WAVES_
L'Ascensore_Palermo_2018
curated by Giuliana Benassi

pavimentazione rotta,luce artificiale,luce solare,prisma

ph_faustobrigratini


Iride. Overo vogliamo noi dire che è messaggiera per esser prenuncia della futura pioggia,
o serenità.

Cesare Ripa, Iconologia






Può un fenomeno atmosferico come l'arcobaleno segnalarci qualcosa al di là della sua affascinante bellezza? Se grazie alle conoscenze scientifiche diffuse abbiamo perso  l'atteggiamento del selvaggio - come Mark Twain scrive poeticamente nel Un vagabondo all'estero «Noi non abbiamo il senso di riverenza per l'arcobaleno che ha un selvaggio, perché sappiamo com'è fatto. Abbiamo perso tanto quanto abbiamo guadagnato» -  forse è ancor più vero che abbiamo perso l'attenzione nei confronti della natura e la complicità con i suoi segnali. Questo preambolo perché al centro della ricerca dell'artista Federica Di Carlo c'è la fisica, abbracciata e indagata come grande contenitore nel quale alcuni fenomeni come la luce, l'arcobaleno, le particelle cosmiche si trasformano in elementi da indagare in profondità, da leggere e osservare attraverso le lenti intellegibili della ragione e percettive dell'intuizione.

Nell'esplorazione del grande contenitore della scienza l'artista riflette sul rapporto uomo-natura, ponendo l'accento sulla precarietà che lo contraddistingue e sulla distanza causata dall'uomo nei confronti dell'ambiente circostante. Nonostante le conquiste scientifiche, l'uomo si ferma alla descrizione del fenomeno senza interpretarne i segnali.

Con questo sguardo particolare sulla realtà fisica del mondo, l'arcobaleno viene chiamato in causa dall'artista poiché fenomeno non solo capace di rivelare la struttura della luce nella visione multicolore dello spettro, ma anche di fungere da spia luminosa del cambiamento climatico globale. In questo modo la percezione positiva dell'arcobaleno si ribalta e diventa sintomo di disattenzione da parte dell'uomo, arma e arco minaccioso teso sulle nostre teste.

L'opera Waves presentata presso la project-window L'Ascensore di Palermo è la seconda tappa di un lavoro – la prima esposizione è stata in occasione della rassegna FourteenArTellaro a cura di Emanuele Riccomi all'interno di Eppur si muove – che si sviluppa per gradi e secondo lo spazio di volta in volta diverso, segnando i passaggi di una ricerca volta a generare momenti di riflessione attraverso la visione. Nella stanza palermitana l'opera è in vetrina, offerta al pubblico della strada, allo scorcio del Teatro Massimo e del centro storico della città; essa come un'onda investe lo sguardo delle persone, comunica con il paesaggio e dialoga idealmente con il mare al di là dei tetti e con gli allarmi ad esso connessi.

Un arcobaleno verticale appare ad intermittenza sfruttando i raggi di luce che fuori escono da un cumulo di mattonelle frantumate. Rottura, visione, apparizione, ferita, segnale, luce sono le parole che ci aiutano a descrivere l'opera e le sue direzioni. La superficie del pavimento di maioliche colorate viene metaforicamente frantumata dall'artista, ridotta in macerie, quasi a svelare la potenziale catastrofe ambientale irreversibile che attanaglia l'esistenza dell'uomo se non porrà rimedio alla deriva dell'inquinamento. L'iride da elemento romantico e archetipo positivo si trasforma dunque in sintomo di una ferita, ambasciatore dell'imminente rottura tra uomo e natura.

La fortuna dell'arco luminoso si colloca nella tradizione cristiana come splendore e manifestazione di Dio (Gen 9,8-12; Ez 1,27-28; Ap 10,1) e si traduce in molta arte pittorica occidentale medievale e moderna come simbolo divino; nella celebre Iconologia di Cesare Ripa esso è riferibile a Iride, fanciulla alata e messaggera di pioggia o serenità. Allo stesso tempo poeti romantici ne hanno decantato il mistero e la bellezza: William Wordsworth ne parlava in termini di stupore; Jhon Keats nella poesia Lamia si riferiva a Newton quando sosteneva che la scienza era colpevole di aver svelato il mistero poetico dell'arcobaleno per averlo spiegato scientificamente.

Superato il disincanto del soprannaturale, come può l'uomo tornare a guardare con uno sguardo più consapevole e profondo certi fenomeni naturali?

L'opera Waves di Di Carlo sembra suggerire una risposta: se la scienza, ed in particolare la fisica, ci permettono di conoscere la struttura dei fenomeni e ci aiutano a raggiungere la consapevolezza del mondo che ci circonda, l'arte ci tiene desta l'attenzione e si coniuga con essa per mezzo dell'intuizione. Tutte le scoperte scientifiche hanno cambiato il nostro sguardo sul mondo e il nostro modo di essere al mondo. Dalla scoperta della sfericità della Terra alla teoria dello spazio-tempo di Einstein l'uomo ha raggiunto una migliore (seppur sempre superficiale e in continuo mutamento) coscienza dell'ambiente. Tuttavia, non basta. Non basta riconoscere la struttura delle cose, ma bisogna imparare a guardare oltre, entrare in profondità, trasformare la conoscenza in intuizione e viceversa. L'arcobaleno lampeggiante dell'opera di Di Carlo arriva ai nostri occhi come linguaggio della luce, invito urgente a guardare, a leggere la natura in profondità. Dalle macerie del pavimento si scorge quasi il riverbero di un lamento, il punto di rottura tragico tra la resistenza e l'indifferenza.

In questa feritoia tra conoscenza e visione si colloca l'arte: come tensione verso la verità.


                                                                                                                                            Giuliana Benassi


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